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La destabilizzazione dello Yemen

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Lo Yemen è una delle regioni strategicamente più importanti a livello mondiale, per questo costantemente al centro dell’attenzione delle potenze regionali ed internazionali.

Oggi l’unità del paese è minacciata: a nord dalla guerra tra Stato centrale e ribelli Houthi, iniziata circa cinque anni fa ( 1), a sud da un movimento secessionista, e dalla presenza di al-Qaeda nella regione (2).

A causa della sua posizione geografica, lo Yemen è stato coinvolto nella contrapposizione regionale che si è venuta a delineare dopo la Rivoluzione iraniana del 1979. Per questo, l’attuale conflitto yemenita è stato definito come la nuova guerra “per procura” fra Iran e Arabia Saudita, dopo la crisi libanese, l’influsso iraniano in Palestina, e la guerra civile a sfondo settario che ha avuto luogo in Iraq.

L’attuale guerra civile del nord ha origine negli anni ottanta e novanta del secolo scorso, quando nacque un movimento sciita di protesta per contrastare la crescente influenza wahhabita (3) proveniente dall’Arabia Saudita. I giovani zaiditi (4) si opposero a questa penetrazione e costituirono il primo nucleo di quello che poi sarebbe diventato il movimento Houthi, sotto il nome di “giovani credenti”.

Costoro furono finanziati dal governo yemenita, al fine di impedire che le correnti wahhabite filo-saudite acquisissero un’influenza eccessiva nel nord, ma nel 1994 ‘Abdallāh Sālih, presidente della repubblica, si servì proprio di gruppi wahhabiti per schiacciare un primo tentativo di secessione nel sud del paese.

Quando Hussein al-Houthi prese la guida del movimento sciita nel nord, tale movimento si allontanò progressivamente dallo zaidismo avvicinandosi sempre più allo sciismo duodecimano, il ramo sciita predominante in Iran. L’evoluzione del movimento ha portato i Sauditi a vedere i seguaci di al-Houthi come filiazione diretta dell’Iran (5).

Lo scorso agosto il presidente yemenita ha deciso di scatenare una nuova offensiva militare, attraverso un’operazione chiamata “Terra Bruciata”, per debellare definitivamente il movimento ribelle.

La città di Saada, considerata la roccaforte del movimento, è stata colpita da bombardamenti indiscriminati e da un assedio che ha determinato una spaventosa crisi umanitaria. Dopo quasi sette mesi dall’inizio dell’offensiva, il governo di Sana’a non è riuscito ad annientare i ribelli Houthi, ma ha ulteriormente destabilizzato il paese.

All’inizio di novembre l’Arabia Saudita, che già da tempo sosteneva il governo yemenita con aiuti finanziari e militari, è entrata direttamente nel conflitto bombardando le postazioni Houthi e lanciando una pesante offensiva di terra al confine fra i due paesi, in corrispondenza della località di Jebel Dukhan, ufficialmente in risposta allo sconfinamento di alcuni ribelli sciiti.

Riyadh accusa più o meno esplicitamente Teheran di fornire armi e sostegno finanziario al movimento ribelle nel nord dello Yemen. A questa accusa, ed alla campagna militare saudita, il regime iraniano ha risposto abbastanza duramente, condannando ogni ingerenza straniera nel paese.

L’Iran e l’Arabia Saudita cercano di imporre la loro influenza a livello regionale: l’Iran cerca di farlo sfruttando le minoranze sciite nel mondo arabo, come avviene in Libano, in Iraq, ed ora nello Yemen. L’Arabia Saudita, a sua volta, cerca di imporsi esportando la propria versione wahhabita dell’Islam sunnita, e sostenendo quei movimenti che si ispirano a questa interpretazione rigida e intollerante. Riyadh ha portato avanti questa politica non solo nel caso dello Yemen, ma anche in Afghanistan e in Pakistan. La stessa ideologia salafita jihadista che ispira al-Qaeda ha visto la luce essenzialmente in base a questo meccanismo.

Lo Yemen è il paese più povero e popoloso della penisola araba, che, a differenza della maggior parte dei paesi della penisola, non può contare su riserve petrolifere ed ha storicamente costituito un serbatoio di manodopera a basso costo per l’Arabia Saudita. Esso è inoltre pericolosamente vicino ad un altro “stato fallito”, la Somalia, da cui giungono ondate di profughi.

Per l’Arabia Saudita, e per gli altri paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (6), si pone dunque il problema di stabilizzare e di integrare economicamente questo paese, per evitare che diventi a sua volta una pericolosa fonte di destabilizzazione per tutta la penisola.

La progressiva destabilizzazione dello Yemen fa di questo paese un potenziale rifugio di al-Qaeda, che Riyadh e Washington temono in modo particolare (7). Infatti, proprio nello Yemen si sarebbe addestrato Umar Farouk Abdulmutallab, il giovane nigeriano che il giorno di Natale voleva far saltare in aria il volo Amsterdam-Detroit.

Washington e Sana’a però non collaborano dal fallito attentato di natale, ma dall’ottobre 2000, quando il cacciatorpediniere USS Cole della marina militare statunitense fu attaccato da un commando suicida, causando la morte di 17 marinai e il ferimento di altre 39 persone. Da quel momento, il governo yemenita riceve fondi e ospita esperti Usa incaricati di formare l’esercito e l’intelligence di Sana’a.

In base all’accordo stretto tra i due Paesi, caccia e droni degli Stati Uniti potranno sorvolare lo spazio aereo yemenita o lanciare missili cruise contro gli obiettivi individuati. L’anno scorso il Pentagono ha stanziato 67 milioni di dollari per lo Yemen, quest’anno sono arrivati a 90 (8).

L’impegno statunitense è giustificato dalla lotta contro il terrorismo, ma anche dalla posizione strategica dello Yemen, punto di raccordo tra l’Arabia Saudita e la Somalia.

Uno tra gli obiettivi di Washington è mantenere l’ordine su tutto il fronte marittimo del golfo di Aden, strategica via di ingresso al canale di Suez, quindi a tutta l’Europa. Perciò, tappa principale delle rotte commerciali tra Asia ed Europa, e vitale snodo delle rotte energetiche che partono dalla penisola arabica.


La guerra tra Iran e Ira, diede l’avvio alla progressiva militarizzazione del Golfo Persico, con una presenza crescente della flotta americana, che divenne via via più consistente con la prima guerra del Golfo, con l’acuirsi della crisi somala, e poi con gli attacchi dell’11 settembre e con l’invasione statunitense dell’Iraq.

L’ascesa dell’Iran aveva infatti accomunato le preoccupazioni dei paesi arabi del Golfo e degli Stati Uniti. Ora, però, a preoccupare Washington vi è anche la Cina che dal 2005 porta avanti la cosiddetta strategia dello “String of pearls“, che prevede la creazione di tante basi navali, appoggi commerciali e diplomatici lungo quelle rotte che dai porti cinesi vanno alla penisola arabica e poi in Europa. Pechino ha già disposto le sue perle, grazie ad accordi economici e massicci investimenti, al largo di Cambogia, Tailandia, Bangladesh, Myanmar, Maldive, Sri Lanka e Pakistan.

La militarizzazione delle vie marittime figura tra gli obiettivi tattici di Washington e da un punto di vista militare l’arcipelago di Socotra (8) è d’importanza cruciale.

Le riunioni Saleh-Petraeus dello scorso gennaio, forse, miravano a ridefinire l’impegno militare degli Stati Uniti nello Yemen.

Il presidente dello Yemen avrebbe “ceduto Socotra agli Statunitensi che vi avrebbero costruito una base militare mettendo in evidenza che i rappresentanti americani e lo stesso governo yemenita si erano accordati per l’insediamento di una tale base sull’isola per contrastare i pirati e Al Qaeda” (9).

Lo Yemen diventa dunque strategicamente importante per gli Stati Uniti per contrastare al-Qaeda, ma forse anche la crescente influenza geopolitica della Cina.

* Chiara Cherchi, dottoressa in Scienze politiche, collabora con “Eurasia”

Note

  1. Il conflitto armato in corso nel paese ha avuto origine da uno scontro avvenuto nel 2004 tra le forze di sicurezza governative e un gruppo di studenti che protestavano per la guerra in Iraq e per il dispiegamento delle forze americane in quel paese. I dimostranti erano guidati da un religioso zaidita, Hussein al-Huthi, all’epoca membro del parlamento. Al-Huthi è stato poi ucciso in un’imboscata organizzata dalle forze governative. Il problema dell’Iraq è stato quindi uno dei fattori scatenanti del conflitto nello Yemen;
  2. Si tratta del gruppo “Aqap”, nato nel gennaio dello scorso anno dalla fusione del ramo saudita e di quello yemenita dell’organizzazione che si richiama ad Osama bin Laden;
  3. Wahhabismo è il nome del movimento islamico scaturito dalla riforma religiosa realizzata da Muhammad ibn ʿAbd al-Wahhāb vissuto negli anni 1703-1792). I wahhabiti sono sunniti di scuola hanbalita e, in particolare, seguaci del rigoroso insegnamento di Ibn Taymiyya (morto nel 1328 d.C.). Le fortune del wahhabismo sono intimamente legate con quelle della famiglia al-Sa‘ud che nel corso del XX secolo procederà ad unificare e governare l’attuale Arabia Saudita;
  4. Una forma dello Sciismo islamico diffusa solo nello Yemen.
  5. www. Asharq-e.com;
  6. IlConsiglio di cooperazione degli Stati arabi del Golfo” è l’organizzazione di cui lo Yemen è l’unico, fra gli stati della penisola araba, a non far parte. (www.medarabnews.com);
  7. www.atimes.com;
  8. www.peacereporter.net;
  9. Socotra è un azona marittima di transito internazionale che si trova in acque territoriali yemenite, un crocevia marittimo strategico che dista circa 3000 km dalla base navale statunitense di Diego Garcia, una tra le più grandi installazioni militari degli Stati Uniti; Italian.irib.ir.

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